Uncommon Women
Uncommon Women

Uncommon Women


Gia’ dagli anni ’80 era iniziato un percorso di studio che voleva approfondire la conoscenza del corpo umano, in particolare quello femminile, ma non solo. I volti e le mani mi attraevano in particolare. Era quello il tempo in cui la citta’ di New York stava lentamente uscendo dall’astrattismo che dominava gli insegnamenti nel mondo del Fine Art di college quali School of Visual Arts, dove io mi ero iscritta. Affascinata com’ero dagli artisti del Rinascimento Italiano, in particolare Giotto, Piero della Francesca, l’immenso Caravaggio, ecc., volevo che le mie figure fossero vive, respirassero. Ma solo lavorando su Mildred, una piccola signora italo-americana, mi sono accorta che per rispecchiare la vera anima della persona, per renderla il piu’ reale possibile bisognava che ci fosse un profondo affetto e una connessione che mi legasse al soggetto.

Da li’ il progetto definito come “Uncommon Women”, titolo suggerito da Shelly Rusten, jazzista e fotografo, che continua ad evolversi in un susseguirsi di immagini di donne ferme, in piedi o sedute, che guardano direttamente allo spettatore come a voler fermare il tempo.

Quel tempo che invece correva, e non poco, nella citta’ di NY. Il tempo dove Jean-Michel Basquiat vendeva le sue cartoline nelle strade del Lower East side per un dollaro l’una. Dove Keith Haring veniva invitato ad SVA per parlarci di come i suoi successi erano partiti clandestinamente nelle buie metropolitane di NY, degli arresti e di come SVA l’aveva espulso da scuola perche’ “imbrattava” i muri. Quella stessa scuola che ora l’invitava come ospite d’onore grazie al successo ottenuto. Dove ero solita incontrare Allen Ginsberg sotto casa, sulla Prima Avenue tra la 13ma e la 14ma strada, dal koreano che vendeva le verdure, salutarci e fare la spesa insieme.

Dove camminando verso la Broadway, ecco Philip Glass che rispondeva sorridente al mio timido saluto di “Hi Philip”. Quello era il tempo di koyaanisqatsi. Dove non era insolito incontrare Francesco Clemente passeggiare con sua moglie. Del Newyorican Poet Cafe’. Di quelli che ancora volevano informazioni su Madonna che aveva abitato nell’appartamento sopra il mio ad Alphabet City.

Era il tempo dei party sfrenati, della comunicazione, dello stare insieme e di quella certezza che ancora aleggiava nell’aria che tutto era possibile, anche affittare Saint Mark Church, sulla Terza, per 100 dollari a sera e mettere su uno spettacolo. Era come se quel momento di creativita’ irrefrenabile sarebbe durato per sempre.

E invece tutto cambio’ all’improvviso con l’avvento dell’AIDS e le morti, le discriminazioni e il bigottismo che ne risultarono. E tutto cambio’ lentamente con il riapparire di un conservativismo che costrinse al ritorno ad un ritmo di vita a dir poco meno libero


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